Fra le tue dita gelate, Francisco Tario

Editore: Safarà

Traduzione di Raul Schenardi

 

“Una delle idee che Lord Callander si era sforzato con la più grande perseveranza di inculcare nella mente della figlia era che, finché un essere umano non abbia imparato ad accettare tutte le magiche possibilità che la vita ci offre – anche quelle che potrebbero sembrarci più inammissibili e remote –, non si può avere la certezza che quell’essere esista pienamente, dato che è solo in quel modo che l’uomo entra a far parte della vita così com’è – potente e magica, sorprendente – […]” – «Fuori programma».

Dopo una lunghissima assenza, torniamo finalmente a rinfrescare il nostro blog e a parlarvi di libri e consigli di lettura. Vi ricordate Tre alla terza, la nostra rubrica di libri in traduzione? Oggi vi presentiamo Fra le tue dita gelate, di Francisco Tario, maestro del racconto, oggi ritenuto un’importante figura della narrativa fantastica latino-americana.

Questa raccolta di sedici racconti – titolo originale: Una violeta de más – è il primo testo dell’opera di Tario a essere pubblicato in Italia, grazie all’iniziativa della casa editrice Safarà. L’autore dedica il volume alla moglie Carmen Farell, dopo la sua scomparsa: ne sente terribilmente la mancanza e ne invoca la presenza fin dalla dedica del libro, chiamandola “magico fantasma”. Ed è proprio questo stato tra ricordo e realtà, veglia e sonno, mondo dei vivi e dei morti che pervade i testi dell’intera raccolta.

In «L’esodo» troviamo una meravigliosa descrizione di una casa andalusa:

Ora disponevamo di un bel giardino con fontane, ampi cortili di azulejos, musica di chitarra a tutte le ore e ampi saloni istoriati, nei quali io e mia moglie passeggiavamo mano nella mano nelle tiepide serate primaverili. Ogni tanto ricevevamo degli invitati – sempre da nostri compatrioti – e pranzavamo sotto gli aranci, suonando le nostre chitarre”.

Se avete mai viaggiato in Spagna riconoscerete sicuramente in questo passaggio i suoni, profumi e colori che avete visto con i vostri occhi.

Ci troviamo in una realtà che non riusciamo a definire, così come è difficile dare un senso a ciò che accade. Elementi fantastici e grotteschi si mescolano a un’accuratezza descrittiva estremamente realistica. La scrittura di Tario riesce a farci percepire i colori, i profumi, i suoni, le sensazioni e i movimenti che contraddistinguono le scene narrate. Ci sentiamo coinvolt* negli ambienti con tutti i nostri sensi, come se potessimo entrarvi fisicamente: sentiamo il caldo delle giornate di sole, il fruscio degli alberi, il rumore delle onde in riva al mare, il cinguettare degli uccelli in cielo, vediamo le stelle che brillano nel cielo notturno… finché, improvvisamente, accade qualcosa di insolito, strano, imprevisto, che ci fa fermare e riflettere, chiedendoci se ciò che stiamo leggendo possa essere reale, o se si tratti di un sogno, di un mondo parallelo, dell’immaginazione, forse.

Un altro assaggio della scrittura sensuale dell’autore si ha nel racconto «La donna nel cortile» dove si nota un uso, a mio avviso, azzeccatissimo degli aggettivi e una descrizione talmente semplice da risultare davvero efficace :

“Oggi avrebbe desiderato una giornata nuvolosa e umida, molto dolce, e addormentarsi con i suoi strani pensieri. Fra i rami privi di foglie del fico si affacciava, invece, l’azzurro persistente del cielo” […] “Spesso, quando si apriva d’improvviso un armadio, la biancheria cadeva per terra con un rumore impercettibile, come quello della neve”.

A queste descrizioni realistiche e dettagliate, si accostano vicende grottesche e fantastiche. La presenza della morte pervade i racconti affollati di fantasmi e avvenimenti insoliti, ma l’argomento è sempre trattato come qualcosa di naturale, quotidiano, a volte anche buffo. I personaggi sono estremamente umani, malinconici, ma anche gelosi, divertenti, e, paradossalmente, soprattutto nel caso di defunti o fantasmi, pieni di vita e sogni. Nella narrazione si alternano paesaggi idilliaci ad altri più inquietanti, enigmatici, così come incontriamo una miriade di esperienze diverse: una giovane ragazza che si innamora di un cavallo, un antropofago che confessa i propri crimini, una nascita mostruosa, un bambino dalla testa gigante di cui la madre è gelosa, amori proibiti, sogni inspiegabili e incontri curiosi.

Persino le case hanno un’anima, come descrive «La panchina vuota»:

“All’interno di quella casa c’era una vita costante, invisibile e attiva; un’esistenza occulta che spiegava di per sé perché la casa non invecchiava, perché ogni mattina sembrava più radiosa e soleggiata, e com’era possibile che gareggiasse sotto ogni aspetto con le altre case”.

Credo che il traduttore abbia fatto un ottimo lavoro nel restituire la musicalità, sensualità e poeticità della scrittura che si adatta perfettamente alle atmosfere oniriche descritte. Vi riporto qualche esempio, invitandovi a notare la presenza dell’allitterazione (per alcune consonanti soprattutto) e l’effetto di questo suono nella narrazione:

“Un’infinità di piccole stelle scintillavano nel firmamento e una luna rotonda e bianca, molto bassa, vogava sfiorando gli alberi. Fragoroso e possente, il fiume esplodeva fra la vegetazione, e sui rami si rannicchiava una miriade di uccelli assonnati. L’aria era frizzante e profumata e prometteva una rigogliosa primavera. Illusione o realtà, si spensero solo molto tardi le luci del paese e sul campanile della parrocchia rintoccarono con dolcezza le campane. Fu senza dubbio una notte prodigiosa, con tutti i sentieri illuminati, durante la quale un’anima giovane e ardente si sarebbe facilmente innamorata. Tuttavia, quello che accadde fu molto diverso.” – «Ave Maria purissima».

“In realtà, le foglie erano così abbondanti che quasi mi impedivano di avanzare, perché i piedi vi affondavano restando momentaneamente imprigionati. Non appena il vento soffiava più forte, nuove foglie si staccavano dai rami e formavano una fitta cortina che io mi sforzavo di scostare. Sprigionavano un forte odore di umidità, come se si trattasse di foglie molto antiche che se ne stessero lì da un’infinità di anni.” – «Fra le tue dita gelate».

A tratti, lo confesso, ho trovato difficile appassionarmi alla lettura. Credo che di per sé il racconto sia una tipologia di testo enigmatica: siamo lanciat* in una storia, dobbiamo subito capirne le coordinate e poi dobbiamo salutarla all’improvviso con domande ancora irrisolte. Se però amate una scrittura evocativa, profonda, con atmosfere paradossali, a volte incomprensibili, sicuramente questo volume farà per voi! Da traduttrice avrei poi apprezzato la scelta di inserire il testo a fronte, soprattutto perché si tratta della prima raccolta di Tario a essere pubblicata in italiano, e, magari, una prefazione iniziale, per valorizzare ulteriormente il suo lavoro, per tanto tempo rimasto nell’ombra. Come l’autore stesso scrive in «La panchina vuota», cosa resta di noi se nessuno ci ricorda?

“Chi l’avrebbe ricordata, si ripeteva. Quasi nessuno la ricordava; era vero. E perciò moriva. Soltanto un ultimo ricordo, disperato e preciso, la teneva in vita da lontano. Di chi poteva essere quel ricordo? Chi la ricordava, desiderando ora che non morisse? Viveva i suoi ultimi giorni alla mercé di quell’unico pensiero. E non appena questo pensiero si fosse estinto, non appena quel ricordo avesse smesso di esistere, anche lei avrebbe smesso di esistere – lo capiva –, ma non aveva nemmeno la forza di pensarlo”.

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