Buoni propositi: leggere più raccolte di poesie

Oggi torniamo a parlarvi di LietoColle e delle due nuove raccolte poetiche che ci hanno fatto scoprire. Bellissime e speciali, ognuna a modo suo.

La prima raccolta, Le colombe di Damasco, è a cura della poetessa e docente Kate Clanchy e racchiude le poesie scritte dai suoi studenti – tutti tra gli undici e i diciannove anni – della Oxford Spires Academy. Sono giovani migranti o rifugiati che hanno dovuto abbondonare il paese natio. Le poesie sono estremamente toccanti: descrivono la nostalgia per la loro terra, il senso di abbandono, la difficoltà a integrarsi in un nuovo paese. Ma soprattutto evocano i loro ricordi. Ricordi dolci, nitidi, dolorosi: un paesaggio che non rivedranno più, un fratello morto in guerra, una famiglia divisa, una terra perduta, un profumo che riporta alla propria casa.
In ogni poesia traspare un senso di profonda malinconia e solitudine, ma il lettore più attento riuscirà a coglierne anche l’infinita dolcezza.
Le poesie sono tutte in inglese, ed è sorprendente pensare che molti studenti abbiano iniziato a scriverle quando ancora l’inglese era per loro una lingua ostile e appena conosciuta. Eppure, le loro parole sono molto potenti, arrivano dritte al cuore.
Un ringraziamento particolare va all’editore di LietoColle, Michelangelo Camelliti, e alla traduttrice della raccolta, Giorgia Sensi, che hanno portato in Italia questo progetto coraggioso. Si sono fatti portavoce di un grande messaggio umanitario, in quanto hanno deciso di donare i proventi alla sede italiana dell’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati.

La seconda raccolta invece, The Perseverance, è a cura del poeta inglese Raymond Antrobus e raccoglie poesie molto intime e profonde che permettono di conoscere meglio l’autore e la sua biografia. Le poesie passano in rassegna alcune tra le esperienze di vita più significative del poeta. Si susseguono, una dopo l’altra, con una logica simile a quella dei ricordi: a volte sono frammentarie, sospese, difficili da decifrare; altre volte appaiono nitide e vicine e spesso fanno male come cicatrici ancora aperte.
Raymond Antrobus descrive la sua sordità, il vero leitmotiv della raccolta, e il dolore dovuto al forte senso di inadeguatezza che prova nei confronti degli udenti. In queste poesie le parole colpiscono taglienti come lame e rompono il silenzio su tematiche scomode come la discriminazione, l’incompatibilità tra “normali” e “diversi” e il colonialismo. Spesso infatti il poeta rievoca le sue origini giamaicane e trasporta il lettore oltreoceano, in un universo famigliare e dolce. Ma oltre a suscitare una grande tenerezza, alcuni ricordi smascherano la crudeltà del passato coloniale. Ed è qui che le parole si fanno più aspre e dure e il tono spietato, accusatorio. L’episodio cruciale che spesso ritorna nelle varie poesie è la morte del padre — l’unico individuo al mondo che, malgrado il grave problema di alcolismo di cui soffriva ha sempre difeso e sostenuto il poeta — e il senso di vuoto e solitudine percepito dal figlio e trasmesso nella sua scrittura.
Altri temi ricorrenti sono la sfiducia nella comunicazione e l’amore, l’unico elemento che ancora ci può redimere.

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