Le pianure, Gerald Murnane

Editore: Safarà
Traduzione di Roberto Serrai

Lei ha passato tutta la vita su queste pianure. Tutti i suoi viaggi sono iniziati e si sono conclusi all’interno di questo paese enorme e silenzioso. Perfino le terre di cui sogna hanno qualche specie di pianura, lontano, nel cuore del paese. Non esistono parole adatte a spiegare ciò che spero di fare. Descrivere i suoi paesaggi, come lei li vede?

Siamo in Australia, terra in cui è ambientato Le pianure, il romanzo di Gerald Murnane che racconta la storia – e i pensieri – di un giovane cineasta che arriva nelle pianure remote dell’Australia con l’intento di scrivere una sceneggiatura per raccontare l’anima misteriosa di questo territorio. E per farlo, decide di chiedere ospitalità ai latifondisti, gli uomini più importanti delle pianure. Nonostante la diffidenza iniziale, uno di questi uomini decide di accettare la richiesta del giovane e di mettergli a disposizione la sua tenuta per trovare ispirazione e portare a termine la sceneggiatura. Il protagonista ha accesso a tutti gli angoli – anche quelli più segreti – della proprietà, compresa l’enorme e solitaria biblioteca in cui sono racchiusi secoli e secoli di storia delle pianure. E proprio le mura di quella casa lo porteranno a incontrare la ragazza che tanto cercava per dare un volto a quel territorio così impenetrabile.

 

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Le pianure è «uno strano capolavoro australiano», così viene definito dal New Yorker. E in effetti questo aggettivo si addice molto a quella che, di fatto, è l’opera più poliedrica di Murnane: è un romanzo, un saggio, un diario, e una confessione. Uno dei tratti distintivi della scrittura di Gerald Murnane sono senz’altro le descrizioni, che permettono al lettore di immergersi totalmente nel paesaggio, e quindi nella vera essenza del libro. Un paesaggio che diventa subito animato, che plasma le persone.

Senza l’ostacolo delle colline o delle montagne, d’estate la luce del sole occupava quella terra in luogo e in largo, dall’alba al tramonto. D’inverno i venti e i rovesci che spazzavano quei grandi spazi aperti esitavano solo per un attimo davanti alle rare manciate d’alberi che dovevano offrire riparo a uomini e animali. 

E le immagini evocative della natura si alternano (anche visivamente, perché l’autore decide di metterle in corsivo) alle riflessioni del protagonista: i suoi appunti di lavoro; le bozze della scenografia; le sensazioni che prova arrivando in un posto nuovo; il primo incontro con la figlia del suo magnate e le sensazioni che la ragazza risveglia in lui. Il lettore, quindi, viene da subito catapultato nella mente del protagonista, che fa da filtro alla narrazione.

Murnane ci racconta che studiare la storia delle pianure australiane – come si ritrova a fare il giovane sceneggiatore – significa scoprire la vera essenza delle persone, compresa la propria. E, viceversa, conoscere le persone che abitano le pianure significa entrare in contatto con la natura stessa. Questo concetto viene espresso in maniera quasi ossessiva attraverso la reiterazione del sostantivo “plains” (“pianure”, appunto), che ricorre sei volte sono nella prima pagina di apertura del romanzo. Uomo e natura, qui, si identificano. 

Chiunque fosse stato circondato, sin dall’infanzia, da una enorme distesa di terra piatta doveva assolutamente sognare di esplorare ora un paesaggio ora un altro: uno visibile in continuazione, eppure mai accessibile, l’altro sempre invisibile anche se lo si attraversava ogni giorno in un senso e nell’altro.

Un’altra caratteristica del romanzo è il silenzio – il silenzio delle pianure e dei personaggi che le abitano. E bello è il modo in cui l’autore decide di rappresentare questa peculiarità omettendo quasi totalmente il discorso diretto. Non ci sono dialoghi ne Le pianure, se non nella terza e ultima parte del libro. Tutto viene mediato dagli occhi e dalla voce del narratore, e il lettore non può fare altro che fidarsi.

La voce italiana di Murnane è affidata alla penna attenta ed esperta di Roberto Serrai. Traduttore, tra gli altri, di Francis Scott Fitzgerald, Cristina Henríquez, Vikram Paralkar, William Faulkner e Ali Eskandarian, Serrai è riuscito magistralmente nell’impresa di tradurre la voce dell’autore australiano. Di fronte a una scrittura come quella di Murnane e, soprattutto, di fronte a un romanzo così culturospecifico, la dominante che, a mio avviso, il traduttore non deve mai perdere di vista è senz’altro l’alterità: siamo in una terra altra, lontana, e stiamo leggendo una scrittura peculiare, ricercata, che diventa un tutt’uno con la storia, i personaggi e l’essenza del testo. In italiano, così come in inglese, le descrizioni rimangono il punto focale della narrazione:


The plains that I crossed in those days were not endlessly alike. Sometimes I looked over a great shallow valley with scattered trees and idle cattle and perhaps a meagre stream at its centre. Sometimes, at the end of a tract of utterly unpromising country, the road rose towards what was unquestionably a hill before I saw ahead only another plain, level and bare and daunting.
– Gerald Murnane, The Plains

Le pianure che attraversai in quei giorni non erano sempre uguali, all’infinito. A volte guardavo una grande vallata, poco profonda, con alberi sparsi e bestiame ozioso e forse, al centro, un misero corso d’acqua. A volte, al termine di un tratto di campagna che non prometteva assolutamente nulla di buono, la strada saliva verso quella che senza alcun dubbio era una collina, prima di lasciarmi intravedere un’altra pianura, rasa e brulla e sconfortante.
– Gerald Murnane, Le pianure

 

Già da questo breve paragrafo tratto dall’incipit del romanzo è evidente la cura del traduttore nel riportare in italiano tutti gli elementi del testo di partenza. L’occhio e l’immaginazione del lettore passa dalle pianure iniziali alla vallata, per poi salire su una collina e tornare in pianura, che rimane la protagonista indiscussa.
Bello è inoltre il modo in cui viene resa la chiusura del paragrafo: i tre aggettivi separati dalla congiunzione “and” vengono riportati in italiano rispettando tanto il significato semantico quanto il ritmo: due aggettivi più brevi (“level” and “bare”, rispettivamente in italiano “rasa” e “brulla”) seguiti da un aggettivo plurisillabo (“daunting”, reso in italiano con “sconfortante”).

Insomma, Le pianure è una piccola e preziosa chicca che vi porterà in una terra lontana, misteriosa e imperscrutabile come l’Australia. Spesso utilizzo la metafora del viaggio per parlare di traduzione – e di letteratura – perché penso sia questo il compito dei traduttori: trasportare il testo, le parole, il lettore in un’altra cultura pur mantenendo viva la voce del testo di partenza. 

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