E poi un giorno è successo che
Le storie non rispondono a delle domande, le storie creano buchi da riempire
Per i miei trent’anni, Sara e Luca mi hanno regalato «Dimmelo a voce», un workshop sui podcast tenuto da Matteo Caccia – scrittore, narratore e speaker radiofonico a Radio2 e Radio24 – e organizzato dal Festival Internazionale di Ferrara.
Sarà che di Pascal non mi sono persa una puntata negli ultimi due anni, sarà che mi ricorda la mia primavera romana quando, tra una correzione di bozze e le corse la mattina a Villa Ada, ascoltavo storie di sconosciuti che mi affascinavano. Sarà che con Cristina e Ilaria è da un po’ che pensiamo ai podcast, a come crearne uno nostro e a come si comincia. Ma forse questo Luca e Sara non lo sapevano.
Fatto sta che venerdì sera arrivo a Ferrara. Due giorni prima avevo prenotato una stanza in uno degli ultimi bed&breakfast rimasti liberi, a pochi minuti dal centro storico. È bellissima, Ferrara. E nei giorni del festival si anima di persone, di giovani, di famiglie, di bambini. Il festival entra nei teatri, nei cinema, nei cortili, nei giardini della stazione. Trasforma la città. Ci sono posti e persone più o meno preparate a quest’orda umana che stravolge la quotidianità di quella che, di fatto, è una cittadina universitaria: ma il festival si sente, e coinvolge tutti.
Sabato mattina comincia il workshop in un’aula bellissima della facoltà di Giurisprudenza, un palazzo storico immerso nel verde. Non so bene cosa aspettarmi, un corso tecnico su come si costruisce un podcast? Sì, in un certo senso è stato così, ma alla maniera di Matteo Caccia, raccontando storie. This American Life è un programma radiofonico americano, diventato successivamente anche un podcast, in cui ogni settimana Ira Glass, il conduttore, sceglie un tema e raccoglie storie diverse. Secondo Caccia, nel Prologo di Invisible made visible, una puntata andata in onda nel 2012, sta il cuore dello scrivere contenuti audio efficaci. Quando si scrive un contenuto audio, infatti, bisogna tenere presente che l’ascoltatore è come se fosse cieco: le cose prendono vita man mano che gliele raccontiamo, proprio come per i non vedenti, che percepiscono l’esistenza delle cose toccandole.
La mappa che disegniamo, quindi, deve essere quanto più chiara possibile, e non deve dare nulla per scontato, altrimenti la storia non risulta efficace. È tutta una questione di equilibrio, bisogna fare in modo che l’orecchio di chi ascolta sia sempre desto, non si stanchi mai. L’ascoltatore va accompagnato, si deve creare un rapporto di fiducia con chi racconta. La maggior parte delle persone ascolta podcast mentre fa qualcosa: mentre corre, mentre pulisce, mentre cucina. I podcast, quindi, entrano – e fanno entrare il narratore – nella vita delle persone, permettono di aprire tante finestre diverse e di creare contenuti che non potrebbero andare bene, ad esempio, se fossero dei video o degli articoli scritti. Per questo hanno, in qualche modo, una scrittura a sé. E dei tempi a sé. Vanno tenute in conto tutte le variabili, le distrazioni – il telefono che squilla a casa dell’ascoltatore, la buca che lo sportivo deve evitare mentre corre, e così via.
La Piena è l’ultima fatica di Matteo Caccia: un podcast realizzato in collaborazione con Mauro Pescio e Luca Micheli, che racconta la storia di Gianfranco Franciosi, un meccanico nautico talentoso che vive e lavora a Bocca di Magra, in provincia di La Spezia. Suo malgrado, viene coinvolto in un traffico di cocaina proveniente dal Sud America e inizia a collaborare con la polizia italiana diventando, di fatto, un infiltrato. Anzi, diventa il primo civile infiltrato sotto copertura nella storia della lotta al narcotraffico in Italia.
Matteo Caccia ci mostra lo scheletro della prima puntata della Piena. Vediamo la scaletta, le interruzioni – i famosi suoni altri che servono ad accompagnare il lettore e a farlo sentire al sicuro, come una musica, un estratto da una registrazione telefonica o da un TG, e così via. E ci confida anche quanto sia stato difficile controllarsi e rifuggire dalle leggi non scritte della radio per abbracciare, invece, quelle del podcast. Perché il narratore di un podcast non è uno speaker, ma è una persona che racconta, e quindi deve metterci del suo, deve, prima di tutto, avere una storia da raccontare, una storia che a lui ha dato qualcosa, e che crede possa illuminare il mondo.
Tolstoj diceva che le storie parlano o di un viaggio, o di uno straniero che arriva. La traduzione, credo, rientra in questa seconda categoria. C’è uno straniero che arriva in una cultura altra. E allora perché non provare a partire da qui per scrivere un podcast?