Tradurre e insegnare a tradurre

Tre giorni di ESLT – European School of Literary Translation

Meno di una settimana fa eravamo nella bellissima Roma. 

Non vedevamo l’ora di cominciare, per tanti motivi: ci piacciono le sfide e le novità, eravamo incuriosite dal contesto internazionale, volevamo aggiornarci, ma soprattutto, quando si parla di traduzione non ci pensiamo mai due volte, prendiamo il primo treno e andiamo a vedere di cosa si tratta.
Tre giorni intensi in cui abbiamo partecipato alla Summer School ESLT (European School of Literary Translation), un intero corso dedicato alla traduzione e all’insegnamento della traduzione.
Ora che il corso è finito possiamo affermare che ne è proprio valsa la pena, soprattutto per la grande opportunità di confronto con altri giovani traduttori e insegnanti. Tredici partecipanti da tutta l’Europa (e non solo: una ragazza veniva persino dall’Argentina!), insegnanti italiani, inglesi, olandesi, per non parlare dei luoghi in cui abbiamo fatto lezione; la Casa delle traduzioni, a due passi da piazza Barberini, dove siamo stati accolti il primo giorno per le presentazioni, il Casale di San Pio V, ex residenza estiva di papa Pio V (oggi sede del Link Campus University) e Palazzo Falconieri (sede dall’accademia d’Ungheria), in cui abbiamo trascorso l’ultima giornata, immersi tra le opere di Borromini. Autentiche meraviglie per gli occhi. 
Quello che più ci ha arricchito è stata la condivisione di idee e lo scambio di opinioni sui vari metodi di insegnamento. Avere la possibilità di discutere con persone di altri paesi è uno dei punti di forza dell’ESLT, sapere che in Europa ci sono professionisti che portano avanti con entusiasmo e tenacia l’insegnamento della traduzione ci ha spinto ancora di più a inseguire la nostra grande passione. 
In Italia, si sa, non è facile portare avanti progetti legati alla cultura, ma noi non vogliamo arrenderci. E dopo questi giorni trascorsi con veri professionisti del settore ne siamo ancora più convinte. 
Ogni giorno abbiamo a che fare con parole che contengono un’idea di limite, di finito: inarrivabile, incomprensibile, intraducibile. Ma esiste davvero un concetto che non possiamo esprimere e trasformare in un’altra lingua? 

I corsisti e i docenti dell’ESLT presso l’Ambasciata ungherese a Roma

Durante la lezione di Clarissa Botsford abbiamo convertito la traduzione in disegno. Partendo da due testi molto complessi, uno di Erri De Luca e l’altro di Michele Serra, dovevamo raccontarli ai nostri compagni non italofoni. La prima reazione è stata quella di essere incapaci di farlo, ma grazie alla semplificazione del disegno, siamo riusciti a viaggiare con la mente e a spiegare che le alici infarinate fritte del testo di De Luca sono diverse dalle acciughe e che, per questo, il piatto andava collocato geograficamente nel centro-sud Italia. Incredibile la potenza delle immagini e delle parole. Altrettanto potente è stata la lezione di Daniele Petruccioli che ci ha illuminato sull’importanza dell’analisi e della lettura di Glamorama di Bret Easton Ellis, un testo difficile, pieno di riferimenti e lessico specifico del mondo cinematografico.
Bello il discorso di Franco Nasi sui problemi legati alla traduzione di “testi estremi”, di come di fronte a una filastrocca, una poesia, o a un libro pieno di riferimenti alla cultura di partenza non esista un’unica soluzione, o un’unica strategia traduttiva, ma una moltitudine di possibilità.
Con Onno Kosters, invece, siamo partiti da due grandi teorici della traduzione, Lawrence Venuti e James Holmes, per arrivare poi ad applicare le loro teorie sulla traduzione a un nostro lavoro di poesia. E noi, ovviamente, ne abbiamo approfittato per rileggere e revisionare, a distanza di un anno, la filastrocca-poesia di La mia prima Alice, «Chi ha rubato le crostate?». Ancora una volta abbiamo sottolineato l’importanza della revisione, e dunque del rapporto tra traduttore e revisore. Ma non solo: abbiamo anche capito che quando si parla di traduzione, la teoria non può prescindere dalla pratica. Come sostiene Daniele Petruccioli, per essere dei buoni insegnanti di traduzione letteraria, bisogna prima di tutto essere traduttori. Lavorare sul testo, e con il testo.
Durante l’ultima lezione, quella con Duncan Large, abbiamo affrontato uno dei temi più dibattuti tra i traduttori: quali sono i testi letterari? Il testo di una guida turistica, ad esempio, o lo script di un podcast alla radio, come possiamo classificarli? Non tutti eravamo d’accordo, all’inizio, ma poi abbiamo convenuto che ciò che conta è lo stile, la scrittura, e dunque il testo in sé. Si può trovare un pizzico di letterarietà anche in un testo di matematica, ad esempio, guardate un po’ qui (https://www.americanscientist.org/article/ambition-distraction-uglification-and-derision).

Come avrete capito, le giornate sono state molto intense: una full immersion di nozioni, spunti, lavori di gruppo, pratica e teoria della traduzione. Tutti ingredienti fondamentali per la riuscita di un buon corso. La collaborazione è stata la vera protagonista. C’era una gran voglia di condivisione e di scambio di idee.
Grazie a tutti per averci regalato un pezzettino della vostra esperienza. Da oggi sarà anche un po’ nostra e la porteremo lontano. Molto lontano.