SONO UNO SCRITTORE GIAPPONESE, DANY LAFErriÈrE
Sono uno scrittore giapponese è un libro strano.
Ha come protagonista uno scrittore che non fa niente, o quasi. Vive a Montréal, passa il tempo nei bar e scrive poco. Del suo nuovo romanzo ha scelto solo il titolo – Sono uno scrittore giapponese – ma come lui stesso afferma, “se hai trovato il titolo, il più è fatto”. Comincia così a cercare informazioni, e la sua ricerca si focalizza su un gruppo di giovani giapponesi alla moda che vive a Montréal. Alterna poi letture di Bashō e Mishima. In un’intervista racconta di questo suo nuovo romanzo dal titolo così bizzarro.
Ben presto viene contattato dal consolato giapponese: il suo libro ha attirato l’attenzione di tutto il Giappone, è diventato un caso editoriale e molto di più. Peccato che lui non ne abbia scritto neanche una pagina. La trama si infittisce, interviene la polizia ed entra in gioco il problema dell’identità. Perché mai uno scrittore del Québec, nato a Haiti e per di più nero vuole diventare uno scrittore giapponese?
Questo libro non va letto con il semplice intento di leggere una storia, ma piuttosto con l’idea di immergersi in un’atmosfera estraniante.
Dany Laferrière gioca con le parole e con il lettore. Mescola elementi e ricordi della sua vita privata con l’universo creato dal suo ruolo di scrittore.
Intellettuale haitiano, di colore, naturalizzato canadese pone al centro di questo saggio un tema difficile, attuale e a lui molto caro: l’identità. Il suo obiettivo è quello di mostrare al lettore il mondo da una nuova prospettiva, con occhi diversi. Vuole far riflettere sul fatto che i confini sono imposizioni mentali e che i nazionalismi culturali non fanno altro che accentuare le diversità e etichettare i popoli.
Perché, dunque, definire uno scrittore dalla sua nazionalità? Perché fermarsi in superficie invece di immergersi nell’animo più profondo di ognuno di noi?
Attraverso la sua scrittura pungente, ironica, Dany Laferrière critica ogni forma di nazionalismo e mette in guardia dai cliché. “Il cliché si colloca ben al di sopra della morale. Se ne sta lì, misterioso, eterno senza un’incrinatura. Ci guarda e intanto sorride. L’unico modo per personalizzare un cliché è rispedirlo al mittente. Si sa che i negri sono pigri. Eppure, quando un bianco lavora troppo, dice che lavora come un negro. Pausa. Il cliché attraversa il tempo e lo spazio veloce come un lampo. Quando si ferma provoca sempre un attimo di silenzio”.
Un libro provocatorio, spiazzante, ma che insegna e cambia punto di vista. Tutti noi dovremmo essere qualcun altro e andare al di là delle apparenze.
Uscito in Italia a marzo 2019 per la casa editrice romana 66th and 2nd, Sono uno scrittore giapponese è stato inserito nella collana “Gli scrittori” e chiude la trilogia che comprende L’arte ormai perduta del dolce far niente e Diario di uno scrittore in pigiama.
La traduzione è a cura di Francesca Scala, ed è una traduzione molto bella. La difficoltà principale – perfettamente superata – era quella di mantenere in italiano il tono ironico e schietto dell’autore, senza però ridicolizzarlo e banalizzarlo. Il ritmo è incalzante e le parole sono scelte con estrema cura. Interessante la resa delle frasi più colloquiali come “Je dois me le rentrer dans la tête” tradotto con “devo ficcarmelo bene in testa” o ancora “Le livre de Mishima ne s’est pas dit ‘tiens, voilà, un bon vieux lecteur japoinais’” che diventa “Il libro di Mishima non ha pensato ‘to, ecco un buon vecchio lettore giapponese’”. Anche i titoli dei singoli capitoli sono ben riusciti e catturano subito l’attenzione del lettore. Una nota di merito va ai dialoghi, che rispecchiano un parlato reale, tangibile.
La cosa, però, che in assoluto ho apprezzato di questa traduzione è l’autenticità e il rispetto per l’autore. Francesca Scala sceglie come sua dominante del testo il voler far trasparire ciò che più importa a Laferrière, ovvero porsi delle domande su chi siamo e interrogarci sul valore dell’identità.