Exit West, Mohsin Hamid

Traduzione di Norman Gobetti, Einaudi editore.

 

“Quando emigriamo, assassiniamo coloro che ci lasciamo alle spalle”.

In una città senza nome sull’orlo di una guerra civile, Nadia e Saeed sono due giovani pieni di aspettative e desideri per il futuro. Lui ha la barba corta e lavora in un’agenzia pubblicitaria, lei è sempre avvolta in una fluente tunica nera e adora ascoltare musica in vinile. Si incontrano a un corso serale e iniziano a frequentarsi. Nasce una storia d’amore furtiva, segreta, circondata da disordini, posti di blocco, esplosioni di bombe e tanta paura.
Quando la violenza diventa ormai insostenibile, ai due giovani non resta altro che fuggire.
Inizia così il loro viaggio alla ricerca di un posto in cui essere accolti e poter chiamare casa. Un viaggio verso un futuro incerto, un viaggio che diventa una lotta per riuscire a restare insieme, aggrappandosi al passato, ai ricordi, un viaggio che inevitabilmente lascia il segno e trasforma.
Mohsin Hamid racconta una storia intima, profonda e di speranza. Una storia d’amore indelebile, di lealtà e di grande coraggio. Nadia e Saeed sono l’umanità intera, siamo tutti noi, sono due giovani di adesso e del passato, sono rifugiati, migranti, fuggitivi. Sono la proiezione di un mondo plausibile, che finalmente accetta l’altro e il diverso.
La scrittura diretta e immediata di Mohsin Hamid è un punto di forza di questo libro.
L’urgenza di raccontare, la velocità delle parole, il ritmo sempre più incalzante fanno sentire il lettore parte della storia e della continua fuga dei protagonisti. Non c’è pace nelle frasi molto spesso lunghe, faticose, con pochissimi punti fermi e molte ripetizioni, quasi a sottolineare l’estenuante ricerca di una casa – ma anche della propria identità. Si sente tutta la violenza della guerra, la sofferenza che ne consegue, e le immagini sono talmente vivide da sembrare reali. La descrizione dettagliata della distruzione della città trasmette ansia e terrore.
Uno stile, quello di Mohsin Hamid, che non lascia spazio a fraintendimenti o ambiguità.
Fin dalle prime righe ci si immerge in una traduzione fatta estremamente bene. Norman Gobetti rispecchia a pieno la scrittura asciutta di Mohsin Hamid. Se il lettore italiano riesce a cogliere ogni sfumatura linguistica – e di pensiero – è grazie alla penna delicata e fedele del traduttore. Gobetti non aggiunge nulla a un testo già evocativo, anzi, riproduce in maniera perfetta l’angoscia dei protagonisti e della loro vita da migranti. Bello il modo in cui vengono mantenute le ripetizioni lessicali volute dall’autore, e come le frasi siano spesso unite dalla doppia congiunzione “, e” non sempre accettata in italiano. Norman Gobetti supera una vera sfida traduttiva e non sbaglia una pagina: riesce a mantenere la semplicità e l’immediatezza del testo, senza mai scivolare in un linguaggio finto o artificioso.

Un libro bellissimo ed emozionante.