LA FELICITÀ DI EMMA, Claudia Schreiber
Pubblicato da Keller editore, 2018, Trad. di Angela Lorenzini
«Per gli animali la cosa peggiore è la paura
di morire, non la morte in sé».
Max chiese: «La morte non è brutta?»
«No, se qualcuno li tiene stretti. Se tagli la
gola in fretta
e con precisione. Anche in natura muoiono
così. Quando una pecora viene divorata da un
lupo, per esempio, libera degli ormoni che
fanno da anestetico. L’effetto è come quello
della morfina, muoiono senza soffrire».
Emma è una donna forte, spregiudicata. Vive nella fattoria di famiglia, nel cuore della Germania, dove alleva i suoi maiali con amore quasi fraterno. Ha avuto un’infanzia difficile, e i ricordi dei familiari violenti bruciano ancora come le lacrime che hanno rigato le sue guance. L’unico vero affetto di Emma è la sua scrofa; solo nel suo abbraccio, tra le setole, si sente meno sola. Emma è sommersa dai debiti, ma non intende rinunciare alla sua fattoria.
Max vive in città e fa l’impiegato. È un uomo metodico, ordinato. Su di lui pesa la diagnosi di un tumore al pancreas, incurabile. Sarà forse per questo che decide di compiere la sua prima – e unica – pazzia: rubare una Ferrari e una borsa piena di soldi alla ditta per cui lavora e fuggire in Messico. Per morire, in pace, e vedere un’ultima volta i pellicani volare.
Due personaggi così diversi, eppure il destino li vuole uniti, insieme. Emma infatti trova un’occasione di riscatto, quando un giorno come per miracolo, Max e i soldi piovono dal cielo nell’aia della sua fattoria. Sullo sfondo una storia d’amore quindi, ma molto diversa da quelle a cui siamo abituati. L’amore che scorre tra le pagine di questo libro è legato al dolore e si mescola con il sangue degli animali che Emma macella per vivere, fino a coagularsi nel tema della morte. Una morte però che non fa così male, ma che al contrario regala un briciolo di felicità e rende giustizia a tutti, indistintamente. La Felicità di Emma è una parabola per capire l’importanza della vita e riflettere sulla sofferenza – non solo umana. Un barlume di luce che può riaccendere la sensibilità nei confronti degli animali e della natura.
La parola più adatta a descrivere la scrittura di Claudia Schreiber è viscerale. È lì che lo stile dell’autrice prende forma: tra i budelli, le arterie recise e l’odore acre del letame. Il suo linguaggio rustico può sembrare troppo cruento, persino grossolano, ma è realistico e attento ai dettagli. Le pagine che descrivono la macellazione offrono preziosi insegnamenti sulla vita di campagna. Tutti gli attrezzi di Emma e gli organi degli animali squartati vengono denominati con precisione scientifica. Qui si avverte il grande spirito di ricerca che ha ispirato l’autrice.
Tradurre questo libro è una sfida. Da un lato bisogna misurarsi con i tecnicismi e con il gergo della macellazione, dall’altro si ha a che fare con tematiche molto forti. La traduzione di Angela Lorenzini è riuscita a rendere in italiano il “mondo” di Emma, con la sua complessità sia lessicale, sia sintattica. Ha sempre cercato di trovare il modo per esprimere in una frase ciò che il tedesco dice con una parola – la vittoria più grande per chi traduce dal tedesco. Simpatica la resa di Trümmerfrauen con bambolone (poco filologica, ma molto figurativa), e assolutamente approvata la scelta di mantenere in originale alcuni termini culturo-specifici: la banja, la Zündapp e il Weckewerk di Emma. Un ulteriore punto di forza della traduzione di Lorenzini sono la restituzione autentica dei modi di dire e della parlata popolare dei personaggi oltre alla trasposizione degli elementi onomatopeici del libro, che sono davvero numerosi tra i vari suoni e versi di animali. Qualche inevitabile residuo di traduzione – soprattutto nell’aneddoto sui cognomi di Max e Emma da sposati (Bienen-Wachs). Per capire il gioco di parole tra Bienen (api) e Wachs (cera) è stato necessario inserire una piccola nota, in cui però il lettore non inciampa, se non per sorridere e fruire dello stesso effetto comico dell’originale.