Il latte dei sogni, Leonora Carrington
(trad. di Livia Signorini, Adelphi, 2018)
John ha due orecchie che sembrano ali. Sono così grandi che un giorno prendono il volo e se vanno via, lasciando il poveretto senza testa. Il Senor Baffo Baffuto ha due facce, una figlia che mangia ragni e una moglie a testa in giù. Lolita Vomito è brutta, e puzza di cacca. Va sempre in giro con dei pezzetti di carne marcia da dare ai bambini, perché lei li odia, i bambini. Don Crecencio è un macellaio con una passione smodata per i conigli. E anche per le rose, ma purtroppo nel suo giardino non crescono, così un giorno prepara un composto di carne di capra e lo spalma sulle rose, insieme a un po’ di lardo. Questi (e molti altri) sono i personaggi dei dieci racconti che compongono Il latte dei sogni, l’albo illustrato di Leonora Carrington pubblicato da Adelphi nella bella collana «I cavoli a merenda». Le illustrazioni, così come i testi, sono di Carrington che, a quanto pare, aveva riempito una stanza della sua casa in Messico di disegni che terrorizzavano i bambini.
Salvador Dal definì la pittrice e scrittrice britannica «la più importante artista surrealista-donna», e mi sono bastate le sessanta pagine del Latte dei sogni per capire perché. Nonostante le illustrazioni “fanciullesche” e il lessico − solo in apparenza − semplice, quello di Leonora Carrington è uno stile che sfiora la dimensione onirica e, molto spesso, dell’assurdo. Non si leggono tutti i giorni storie di bambini a cui la testa vola via, di pezzetti di carne marcia parlanti, o di divani con le fauci e tutto il resto. Ma è proprio quest’atmosfera di nonsense che aleggia tanto sul testo quanto sulle illustrazioni a rendere l’albo interessante − come se la scrittura e le illustrazioni diventassero un tutt’uno. La scrittura è varia: in alcuni racconti prevale l’ipotassi e in altri la paratassi, ma i dialoghi sono una costante di tutto il libro. E giustamente, visto che è (anche) un libro per bambini. Molti racconti hanno un inizio e una fine, mentre altri non iniziano e non finiscono. Spesso l’autrice si limita a descrivere il personaggio o una scena, quasi volesse lasciare al lettore la libertà di inventarsi la storia che preferisce.
Tradurre libri per l’infanzia non è mai semplice, e tradurre The Milk of Dreams lo deve essere stato ancora meno. Quando si è davanti a una scrittura così ricercata, surreale, non bisogna cadere nella tentazione di semplificare il tutto perché «tanto è un libro per bambini». Livia Signorini, secondo me, è riuscita a rispettare tanto la natura di questo albo illustrato quanto lo stile di Leonora Carrington, accompagnando una struttura lessicale semplice a un lessico variegato, onirico, peculiare, proprio come quello dell’originale. Ha inventato e, in un certo senso, addomesticato laddove era necessario (leggerete di Lolita Vomito e del Señor Baffo Baffuto, ad esempio), ma sfogliando il libro si percepisce la cultura altra in cui il libro è stato pensato. E questa, per il traduttore, è sempre una vittoria.
Curiosità: nel racconto «Il Piccolo George», il protagonista è un bambino a cui cresce una casa al posto della testa. Tutti lo guardano male, ma “he was happy to play with his house”, che in italiano è diventato «era contento di giocare con la sua testa-casa». In italiano si trova dunque una piccola aggiunta che nell’originale non c’era. Forse per facilitare la lettura?